eBook di filosofia: M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception

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Maurice Merleau-Ponty, Phénoménologie del la perception, 1962

Il testo è tratto dal portale canadese “Les classiques des sciences sociales

Merleau-Ponty, nella Fenomenologia della percezione, che è la sua opera più vicina alla fenomenologia, ne dà un’interpretazione assai originale, che è chiaramente delineata nell’Introduzione. Egli concentra il fuoco dell’attenzione sul tema della riduzione e osserva che si tratta di un tema che ha tormentato Husserl per tutto il corso della sua riflessione. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che il filosofo tedesco non era soddisfatto dell’idea di riduzione come possibilità di isolare un Io puro e trascendentale, a partire dal quale la nostra esperienza diventa quella di un mondo unico, indiviso e abitato da soggetti identici e trasparenti. L’esperienza reale che noi abbiamo dell’altro e quella del mondo contraddicono questa visione idealista: il rapporto con l’altro è per me originario, l’altro ha una densità e un’opacità irriducibili e né io né lui siamo riducibili a degli «Ego puri». Ciò può anche esprimersi dicendo che entrambi siamo «in situazione», «gettati» nella «fatticità», nel qui e nell’ora, immersi in corpi che fanno parte di una natura. Merlau-Ponty, che, come si vede, collega Husserl e Heidegger interpretandoli assai liberamente, può dunque concludere: «Il più grande insegnamento della riduzione è l’impossibilità di una riduzione completa»; essa non mette capo, infatti, alle certezze assolute di un soggetto puro, ma alla «meraviglia» (étonnement) di fronte al fatto immotivato e paradossale che il soggetto si trova immerso in un mondo, tema che il filosofo francese riprende da Fink, essenziale figura di collegamento fra Husserl e Heidegger fin dagli anni Trenta. L’esperienza che l’uomo ha del mondo è dunque sempre parziale, nuova e da ricominciare; c’è un mondo della vita e della storia che è impossibile portare alla trasparenza dell’idea. Di conseguenza Merlau-Ponty dà del tema husserliano dell’intenzionalità una lettura molto personale, anche se non priva di agganci nei testi del maestro: all’intenzionalità «d’atto», che caratterizza i nostri giudizi coscienti, e che è quella con cui ha lavorato anche Kant, egli contrappone l’intenzionalità «operante» (fungierende Intentionalität), che è quella che si attua nella nostra vita preintelletttuale, in tutta quella dimesione «prelogica» della nostra esistenza che non riguarda tanto i giudizi logici e coscienti, ma che «costituisce l’unità naturale e antepredicativa del mondo e della nostra vita, che appare nei nostri desideri, nelle nostre valutazioni, nel nostro paesaggio». Di conseguenza, il programma della f., che è per definizione infinito e incompiuto e ha un «andamento incoativo», diventa la riscoperta di quella falda di senso, di vita irriflessa che è alla radice sia della vita individuale che della storia collettiva. Il programma del ritorno «alle cose stesse» diviene così, nell’interpretazione di Merleau-Ponty, per un lato, quello di analizzare il ruolo del corpo come vera matrice di tutte le conoscenze, per l’altro la riscoperta di quell’elemento «genetico», irriducibilmente dinamico dell’«essere al mondo» la cui «ripresa» non è mai un passivo ritrovamento, ma una sempre nuova creazione” (tratto da Fenomenologia in Treccani.it)

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